Onde gravitazionali, rilevato il respiro profondo dello spazio

Un gruppo internazionale di astronomi ha scoperto un segnale nelle frequenze del nanohertz che potrebbe provenire da un fondo di onde gravitazionali di origine astrofisica -

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    Grazie a più di 25 anni di osservazioni fatte da sei dei radiotelescopi più sensibili al mondo, tra cui il Sardinia Radio Telescope (Srt) (nella foto),  da 64 metri di diametro situato vicino a Cagliari, un gruppo internazionale di astronomi ha scoperto, nell’ambito dell’esperimento European Pulsar Timing Array (Epta), un segnale nelle frequenze del nanohertz che potrebbe provenire da un fondo di onde gravitazionali di origine astrofisica: il GWB (Gravitational Wave  Background) a cui scienziati di tutto il mondo da tempo danno la caccia, prodotto dall’energia gravitazionale rilasciata da coppie di buchi neri supermassicci in avvicinamento, che spiraleggiano uno intorno all’altro fino a fondersi.

    Come descritto negli studi pubblicati sulla rivista Astronomy and Astrophysics , realizzati da una collaborazione internazionale di astronomi europei, fra cui ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Università di Milano-Bicocca, coadiuvata da colleghi indiani e giapponesi, gli scienziati hanno captato un segnale a bassissima frequenza, caratteristico della presenza di GWB, rilevato monitorando, per 24 anni, gli impulsi radio di un gruppo di pulsar (pulsar timing array) al millisecondo, (stelle di neutroni con periodo rotazionale tra 1 e 10 millisecondi),  che arrivano sulla Terra come pulsazioni molto regolari, seguendo uno schema temporale ben preciso, come fossero orologi naturali.

    Poiché questi impulsi sono inviati ad intervalli regolari, cogliere variazioni improvvise nei tempi di questi “battiti”, indica che tali variazioni sono dovute al passaggio di deboli onde gravitazionali, che perturbando lo spazio-tempo, lo comprimono in una direzione e lo dilatano nella direzione opposta, disturbano il cammino degli impulsi inviati dalle pulsar.

    “La presenza di un fondo di onde gravitazionali – spiega Andrea Possenti, ricercatore all’Inaf di Cagliari e coautore del lavoro – si manifesta sotto forma di fluttuazioni di bassissima frequenza nel ritmo degli impulsi radio provenienti da tutte le pulsar, una sorta di “rumore” aggiuntivo che perturba il regolare andamento degli impulsi, che altrimenti potremmo paragonare al ticchettio di un orologio precisissimo. Parlando in maniera molto semplificata, un esperimento come quello condotto da Epta consiste dunque nella ripetuta osservazione della schiera di pulsar, ogni qualche settimana e per molti anni, alla ricerca di un “rumore” a bassissima frequenza che affligga il loro ticchettio in maniera comune a tutte le pulsar, e che non sia attribuibile a cause diverse dalle onde gravitazionali”.

    Gli strumenti utilizzati per raccogliere i segnali sono l’Effelsberg Radio Telescope in Germania, il Lovell Telescope dell’Osservatorio Jodrell Bank nel Regno Unito, il Nancay Radio Telescope in Francia, il Westerbork Radio Synthesis Telescope nei Paesi Bassi, e il Sardinia Radio Telescope (SRT) in Italia.

    “Questi risultati – spiega l’astronoma Delphine Perrodin, dell’INAF di Cagliari – si basano su decenni di certosine e instancabili campagne di osservazione effettuate utilizzando i cinque più grandi radiotelescopi in Europa. Inoltre, una volta al mese i dati di questi telescopi vengono anche sommati fra loro, aumentando ulteriormente la sensibilità dell’esperimento”.

    Queste osservazioni sono poi state ulteriormente integrate dai dati forniti dal Giant Metrewave Radio Telescope in India, rendendo l’insieme di dati ancora più accurato.

    A differenza degli interferometri di terra Virgo e Ligo con i quali si possono “vedere” solo onde gravitazionali di lunghezza d’onda piccola che provengono da buchi neri stellari coalescenti, con l’esperimento Pulsar Timing Array, è possibile, invece, rilevare onde gravitazionali con lunghezze d’onda molto più lunghe. Un segnale a bassissima frequenza che viene dalle profondità del tempo e che ha richiesto due decenni per essere rilevato. Al momento non si conosce ancora la sua origine, ma ci sono alcune ipotesi:  la più probabile è che si tratti di una popolazione di buchi neri supermassicci che vivono in sistemi binari che ruotano l’uno intorno all’altro in una danza cosmica, durante la quale emettono onde gravitazionali. Il segnale, ipotizzano gli astronomi, potrebbe anche  essere uno dei primi gemiti dell’universo subito dopo il Big Bang.

    L’obiettivo ora è ampliare i risultati ottenuti, con l’analisi dei dati di oltre 100 pulsar osservate con tredici radiotelescopi in tutto il mondo, per  confermare l’inizio di una nuova era nell’esplorazione dell’Universo.

    Rita Lena

     

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