Un governo di sinistra?

Le follie agostane di Salvini hanno, infine, prodotto l’impensabile: un governo il cui programma ed i cui partecipanti sono, sostanzialmente, di sinistra. Alcuni nomi – si tenga conto che il PD esprime ministri di peso, come il titolare del MEF, mentre il Ministero della Salute va a LeU nella persona di Roberto Speranza – mostrano origini marcatamente di sinistra. Da ultimo la neo ministra dell’Agricoltura che, addirittura, ha passato una vita in CGIL, partendo dalla gavetta sui territori.

Anche il programma – al di là della sua vaghezza e del fatto che, evidentemente, alcuni punti sono stati messi lì per raggiungere l’intesa – manifesta una visione non certo di destra. Un programma di sintesi in sé, per quanto vago, è una novità sostanziale rispetto al modello del rapporto con la Lega, basato su una prospettiva da “separati in casa”, quel contratto di governo incentrato sul principio del “unicuique suum tribuere” con un garante in mezzo ai due capi partito.

Osserviamo poi l’ordine delle questioni che tradisce l’importanza politica che rivestono per la nuova maggioranza: il punto uno parte dalla disattivazione delle clausole IVA e poi parla di sociale e di investimenti pubblici nell’istruzione e nell’assistenza. C’è il caveat degli equilibri di finanza pubblica, ma si richiama il concetto di una politica economica espansiva. Al punto 2, nell’ottica di un diverso rapporto con l’Europa i cui garanti saranno Gualtieri ed Amendola, espressione del PD, si parla apertamente di più spesa sociale e meno vincoli di bilancio nel rapporto con Bruxelles. Al punto 4 si fa riferimento ad una riforma fiscale che si basi sulla riduzione del famoso cuneo con la postilla “a totale vantaggio dei lavoratori” e si contempera il concetto di salario minimo con l’autonomia contrattuale delle parti sociali. C’è spazio anche per le partite iva ed i professionisti, investimenti sulla sicurezza sul lavoro e parità di genere. Il tema disabilità torna al punto 6 dove si parla di testunificazione delle norme in materia e di “riconoscimento della funzione sociale dei caregiver” (brutalmente parlando si dovrà forse porre il problema di riconoscere una qualche forma sostanziale di sostegno economico ai familiari conviventi impegnati nella cura di congiunti con disabilità gravi). Al punto 17 si parla, di nuovo, di riforma fiscale dal lato tributario con alcune indicazioni fin troppo generiche e si mette la mordacchia all’autonomia differenziata in salsa turboleghista al punto 18. Al punto 22 si parla, ancora, di spesa pubblica sociale e nella scuola, di sanità pubblica e di tutela dei beni comuni. Il punto 29 è una ampia quanto vaga dichiarazione di principio sul tema dell’agro ambiente, dell’agrobusiness e sulla gestione degli impatti del cambiamento climatico in agricoltura.

Insomma, abbiamo un governo di matrice socialdemocratico/laburista – almeno come piattaforma programmatica – e non lo sapevamo.

Funzionerà? E’ molto improbabile perché, come tutti i governi di coalizione, anche questo si regge su compromessi, reti di interessi, pretese individuali e calcoli di legislatura che hanno poco a che fare con le pie intenzioni espresse nel programma. Poi ci sono i dati reali della finanza pubblica ed un’economia in affanno che sconta la frenata dei clienti tedeschi, principali destinatari del nostro export industriale: dati concreti con i quali si dovranno necessariamente fare i conti, prima di allargare i cordoni della borsa. Il rischio è quello dei provvedimenti di principio, finanziati poi con le briciole.

Allora cosa dobbiamo aspettarci da questa chimera a trazione piddina (anche il numero dei dicasteri tradisce il desiderio inconscio ed inconfessabile del partito degli incompetenti di affidare i dossier di peso al tutoraggio degli esperti e navigati colleghi del fu partito di Bibbiano)? Non posso saperlo, ma posso pensare ad alcuni temi sui quali concentrare l’azione di governo, prima dell’inevitabile implosione.

Si eviteranno probabilmente gli aumenti dell’IVA al prezzo di un taglio delle detrazioni fiscali e degli sgravi alle imprese: sarebbe bene che il governo mettesse mano ad alcuni provvedimenti deliranti del precedente esecutivo. Quota 100 va posta in “phasing out” programmando un’uscita progressiva, ma rapida, dal regime agevolato e costoso per le casse dell’INPS. Il reddito di cittadinanza va raccordato con gli altri istituti presenti nel complicato e stratificato sistema del welfare. Occorre potenziare l’INPS e pesantemente: è il soggetto che gestisce il 90% dell’assistenza pubblica, deve essere più veloce e capillare nel dare risposte ai cittadini. Tra l’altro un’INPS veloce a pagare fa voti, tanti voti. Vanno depotenziati i regimi fiscali “speciali” per persone fisiche che creano disparità di trattamento fra diverse categorie di percettori dei redditi e deve essere iniziato un percorso verso il riequilibrio del carico fiscale fra lavoro dipendente e lavoro autonomo, senza però trascurare quelle categorie di autonomi che, essendo a basso reddito effettivo, non possono essere massacrati da oneri contributi e fiscali complessi e costosi.

Serve un intervento forte e riformatore sul sistema sanitario nelle assunzioni di medici ed infermieri e nel sistema degli acquisti: occorre aprire una riflessione sul modello regionalizzato della sanità pubblica anche nella logica di moderazione del processo di differenziazione dei livelli di autonomia finanziaria delle Regioni.

E mi fermerei qui perché già questi interventi sono più che sufficienti per impegnare completamente il resto della legislatura.

Ho trascurato i provvedimenti “di bandiera” che non hanno un rilevante impatto economico e sociale: il PD vuole mettere le mani sul tema immigrazione, spoliticizzando la gestione del Viminale e con un ministro della Difesa che non litighi ogni giorno con il collega degli Interni. Il M5S si preoccupa dei giovani ultrascolarizzati che emigrano e dei giovani meridionali che faticano a trovare lavoro. Non vedo niente sul potenziamento della formazione professionale e sul collegamento fra scuole professionali ed industria, aspetto grave in un paese che si dice ancora manifatturiero, anche in una prospettiva di industria green. Sul tavolo restano poi i tavoli di crisi al ministero del lavoro a partire da ILVA ed Alitalia: il lavoro resta ai grillini e non vedo grandi competenze in quel ruolo.

CB