Un viaggio verso casa attraverso l’Atlantico durato quattro secoli (2)

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    Accra, 20 set – (Xinhua) – Il 13 maggio 2024, la capitale ghanese di Accra ha assistito a un emozionante ritorno a casa: Stevie Wonder, iconico musicista statunitense, ha ricevuto il certificato di cittadinanza ghanese dal presidente Nana Addo Dankwa Akufo-Addo, segnando una tappa profondamente personale nel giorno del suo 74mo compleanno.
    Per Wonder, il Ghana e’ ricco di associazioni con le sue radici ancestrali. “Quando sono arrivato qui per la prima volta, ne ho sentito l’essenza, come se fossi gia’ stato qui. Sapevo che era qui che dovevo stare”, ha riflettuto Wonder.
    Nel 1619, i primi schiavi africani documentati furono portati nella colonia britannica della Virginia, segnando l’inizio della vergognosa tratta transatlantica degli schiavi che avrebbe sradicato milioni di persone dalle loro terre d’origine. Quattro secoli dopo, il governo ghanese ha inaugurato l’Anno del ritorno nel 2019, invitando i discendenti di quegli africani ridotti in schiavitu’ a ripercorrere le radici del loro patrimonio originario.
    Il Ghana, un tempo l’ultimo scorcio di casa per innumerevoli africani costretti alla schiavitu’, e’ diventato anche il luogo di nascita del Movimento per l’indipendenza africana e del Panafricanismo nel XX secolo.
    RICORDI DI UN PASSATO OSCURO “Qui vediamo un’architettura molto bella”, ha affermato Robert Morgan Mensah, che ha lavorato come guida per 18 anni al castello di Cape Coast, “ma la triste storia che c’e’ dietro ci ricorda quello che e’ successo durante la tratta transatlantica degli schiavi”.
    Il castello di Cape Coast, arroccato sulle coste della Regione centrale del Ghana, ha mura con cannoni rivolti verso l’Atlantico. Secondo Mensah, gli europei costruirono oltre 60 castelli lungo la costa dell’Africa occidentale, di cui oltre 40 solo in Ghana, per agevolare la tratta transatlantica degli schiavi.
    Quando gli europei arrivarono nel Golfo di Guinea a meta’ del XV secolo, diedero alle regioni il nome delle merci che cercavano. Il Ghana fu la “Costa d’oro”, la Cote d’Ivoire divenne la “Costa d’Avorio” e alcune parti dei moderni Togo, Benin e Nigeria furono soprannominate “Costa degli schiavi”.
    Spinti da ingenti profitti, gli europei colonizzarono le Americhe e i Caraibi, appropriandosi di terre e risorse e decimando le popolazioni indigene. Di fronte alla pressante necessita’ di manodopera, gli europei si rivolsero all’Africa. Incoraggiati dai loro governi, i mercanti europei si impegnarono nel commercio di schiavi su larga scala che Karl Marx descrisse come “traffico di carne umana”.
    Questo commercio, noto come “commercio triangolare”, collegava Europa, Africa e Americhe. I mercanti di schiavi salpavano dall’Europa verso l’Africa occidentale con merci come vino, tessuti e armi, e poi trasportavano gli africani schiavizzati attraverso l’Atlantico in un viaggio straziante di sei-dieci settimane noto come Passaggio di mezzo. Una volta giunti nelle Americhe, coloro che erano stati ridotti in schiavitu’ venivano venduti ai proprietari di piantagioni e miniere, mentre i commercianti tornavano in Europa con massicci carichi di prodotti agricoli e minerali.
    Il castello di Cape Coast, una delle piu’ grandi fortezze dell’Africa occidentale, fu inizialmente costruito dagli svedesi prima di essere conquistato dagli inglesi. Gli africani schiavizzati catturati nell’entroterra venivano tenuti nelle prigioni per settimane o mesi fino all’arrivo delle navi negriere. Mensah ne ha descritto le condizioni terribili: ognuna delle cinque celle sotterranee ospitava da 150 a 200 schiavi incatenati, stipati in uno spazio buio e soffocante.
    “Le celle sotterranee erano piene di sporcizia e le malattie si diffondevano rapidamente”, racconta Mensah.
    “Molti morivano qui, i loro corpi venivano gettati in mare insieme a quelli che non erano ancora morti”.
    Sopra le celle sotterranee, una piccola chiesa offriva un netto contrasto. “Devono aver sentito le grida degli schiavi mentre cantavano inni”, ha dichiarato Mensah, notando che sia gli schiavi che i loro rapitori vivevano e pregavano tra le stesse mura.
    Nella sua opera “The American Slave-Trade: An Account of Its Origin, Growth and Suppression”, l’autore statunitense John Randolph Spears ha descritto la miseria a bordo delle navi negriere, dove gli uomini schiavizzati erano incatenati a coppie, costretti a stare sdraiati o su un fianco in condizioni soffocanti.
    Le cattive condizioni di vita e il lungo viaggio portavano a molti decessi, con un tasso di mortalita’ medio del 15%. Quando le risorse si esaurivano, gli schiavisti gettavano in mare i piu’ deboli per alleggerire il carico, chiedendo poi un risarcimento assicurativo per il “carico perduto”.
    Missouri Sherman-Peter, osservatore permanente della Comunita’ dei Caraibi (CARICOM) presso le Nazioni Unite, ha sottolineato che 12-20 milioni di africani sono stati ridotti in schiavitu’ nel corso di quattro secoli.
    MORIRE DI FATICA ATTRAVERSO L’ATLANTICO A circa 450 chilometri a est del castello di Cape Coast, sulla spiaggia di Ouidah, in Benin, si erge un altro monumento che incute timore. La “Porta del non ritorno” commemora gli africani che furono portati con la forza dalla “Costa degli schiavi” alle Americhe.
    “Un cannone poteva essere scambiato con 15 schiavi maschi o 21 schiave femmine”, racconta Espero de Souza, un ventenne beninese che lavora come guida e che discende da Francisco Felix de Souza, un noto commerciante di schiavi. Gli schiavi venivano messi all’asta a piazza Chacha, un punto di riferimento per il brutale commercio che l’antenato di de Souza dominava.
    I portoghesi furono i primi europei a sbarcare in Brasile all’inizio del XVI secolo, attratti dalla promessa di ricchezza. Fondarono piantagioni di canna da zucchero, ma la popolazione indigena, decimata dai lavori forzati e dalle malattie, si dimostro’ insufficiente. I proprietari delle piantagioni si rivolsero agli schiavi africani, ritenuti piu’ resistenti alle malattie e piu’ facili da controllare.
    Entro il 1630, circa 170.000 schiavi africani erano stati trasportati in Brasile, rendendo la canna da zucchero una coltura intrinsecamente legata alla schiavitu’. Come ha osservato lo storico Wolfgang Leonhard, entro il 1638 il 100% dei lavoratori delle piantagioni di zucchero erano africani schiavizzati.
    Nel suo libro “Captives as Commodities: The Transatlantic Slave Trade”, la studiosa statunitense Lisa Lindsay descrive la dura realta’ della vita nelle piantagioni. I proprietari delle piantagioni, calcolando il costo della manodopera, ritenevano piu’ redditizio far lavorare gli schiavi fino alla morte e poi sostituirli piuttosto che offrire condizioni migliori.
    Nel XIX secolo, il molo di Valongo, un vecchio molo situato nell’area portuale di Rio de Janeiro, era diventato il principale punto di ingresso per gli schiavi africani in Brasile, accogliendone milioni in due decenni. L’area intorno al porto, nota come Pequena Africa, o Piccola Africa, divenne un fulcro della cultura afro-brasiliana e il luogo di nascita della vivace samba.
    Si ritiene che la samba, oggi simbolo culturale del Brasile, abbia origine nella lingua kimbundu dell’Africa occidentale, dove la “Semba” era conosciuta come una danza vivace. Secondo una teoria, i mercanti di schiavi costringevano gli africani schiavizzati a ballare sul ponte durante il viaggio per mantenerli agili e renderli piu’ commerciabili all’arrivo.
    L’INQUIETANTE ALBA DELLA PRODUZIONE CAPITALISTICA Nel 1814, un visitatore europeo documento’ le sue impressioni su una citta’ piena di fabbriche imponenti, ognuna con ciminiere colossali che sprigionavano fuliggine nera nel cielo. Si trattava di Manchester, in Inghilterra.
    All’alba del XVIII secolo, Manchester era una citta’ modesta con appena 10.000 abitanti. A meta’ del XIX secolo, era diventata un centro vitale dell’industria tessile britannica, con centinaia di cotonifici e prodotti esportati in tutto il mondo.
    Il primo primo ministro di Trinidad e Tobago, lo storico Eric Williams, ha riassunto il profondo impatto della tratta degli schiavi sull’industrializzazione dell’Occidente.
    “E’ stata questa tremenda dipendenza dal commercio triangolare a creare Manchester”, ha affermato l’uomo, riferendosi all’Impero britannico come a “una magnifica sovrastruttura di commercio e potenza navale americana su una base africana”.
    Liverpool, un tempo piccolo villaggio di pescatori, ha prosperato come importante porto per il commercio di schiavi prima di diventare una citta’ industriale. Nell’ottobre del 1699, la prima nave schiavista britannica documentata parti’ da Liverpool per i Caraibi, trasportando circa 220 prigionieri africani. Nel corso del XVIII secolo, le navi negriere di Liverpool hanno trafficato circa 1,5 milioni di africani.
    Anche citta’ come Londra, Bristol, Nantes, Bordeaux, Amsterdam e la Zelanda prosperarono grazie alla brutale tratta degli schiavi. I profitti di questa impresa disumana favorirono la crescita delle industrie manifatturiere e dei trasporti in tutta Europa.
    Nella sua opera principale “Il Capitale”, Karl Marx individua nella schiavitu’ e nello sfruttamento delle popolazioni indigene delle Americhe, nel saccheggio dell’India e nella trasformazione dell’Africa in una riserva commerciale di vite umane i momenti salienti delle prime fasi della produzione capitalistica. Questi eventi sono stati cruciali per l’accumulazione primitiva del capitale.
    I mercanti di schiavi, che spesso partivano da un capitale modesto, realizzavano utili straordinari, a volte decuplicati. Un capitano registro’ un utile netto di oltre 40.000 dollari statunitensi in un solo viaggio nel 1827, nonostante una spesa iniziale di meno di 4.000 dollari.
    La tratta degli schiavi stimolo’ anche la crescita del settore finanziario e assicurativo europeo. Banche e compagnie assicurative inaugurarono con entusiasmo attivita’ legate al commercio, mentre i mercanti occidentali che avevano accumulato fortune grazie alla schiavitu’ divennero banchieri, investendo i loro utili intrisi di sangue nelle imprese emergenti.
    Una ricerca del progetto Legacies of British Slave Ownership del University College di Londra rivela che una parte significativa dell’attuale ricchezza della Gran Bretagna e’ legata alla schiavitu’. Istituzioni come la Barclays Bank e la Lloyds Bank hanno costruito le loro fortune sulla tratta degli schiavi, sottolineando l’ascesa di Londra come centro finanziario globale.
    Negli Stati Uniti, i proprietari di piantagioni traevano immensi profitti dal lavoro forzato degli schiavi africani, in particolare nella produzione di cotone. A meta’ del XIX secolo, il cotone proveniente dagli Stati schiavisti rappresentava oltre la meta’ di tutte le esportazioni statunitensi, come ha osservato lo storico Sven Beckert in “Empire of Cotton”.
    Il commercio transatlantico degli schiavi, durato quattro secoli, ha generato un’immensa ricchezza per le nazioni occidentali e ha svolto un ruolo critico nell’accumulazione del capitale, riflettendo la brutale realta’ di un processo di globalizzazione dominato da questi Paesi.
    MOTIVAZIONI DELL’ABOLIZIONE DELLA SCHIAVITU’ Nel 1938, mentre studiava all’Universita’ di Oxford, Eric Williams fece un’affermazione innovativa nel suo opuscolo “Capitalismo e schiavitu'”, sostenendo che l’abolizione della schiavitu’ in Occidente non fu guidata da un risveglio morale, ma da interessi economici e necessita’ strategiche.
    Questa argomentazione fece scalpore nei circoli accademici, in quanto metteva in discussione l’opinione prevalente secondo cui l’umanitarismo era la forza principale del movimento abolizionista. Il manoscritto di Williams fu inizialmente rifiutato dall’editore britannico Fredric Warburg perche’ “contrario alla tradizione inglese”.
    Williams, che in seguito divenne primo ministro di Trinidad e Tobago, dimostro’ che la ricchezza generata dalle persone ridotte in schiavitu’ alimento’ la rivoluzione industriale e che, con la maturazione del capitalismo, la schiavitu’ divenne un ostacolo al libero commercio e all’ulteriore espansione capitalistica.
    Lo storico ghanese Yaw Anokye Frimpong ha spiegato che il declino della domanda di lavoro in schiavitu’ fu dovuto principalmente ai progressi tecnologici. Quando le macchine hanno iniziato a funzionare 24 ore su 24 nei Paesi industrializzati, la necessita’ di lavoro manuale e’ diminuita, rendendo gli schiavi, limitati sia nell’efficienza che nelle ore di lavoro, un peso economico.
    La fine della schiavitu’, secondo lo storico, non fu un’improvvisa epifania morale, ma il risultato di vari fattori, tra cui i cambiamenti nei modelli di produzione, i dibattiti morali e le sfide legali.
    Inoltre, quando i commercianti e i proprietari di schiavi furono costretti a cedere la loro “proprieta’”, ricevettero un sostanzioso risarcimento. Ad esempio, gli antenati dell’ex primo ministro britannico David Cameron ricevettero un’ingente somma dopo l’approvazione della Legge per l’abolizione della schiavitu’ del 1833.
    Tuttavia, i milioni di africani ridotti in schiavitu’ non ricevettero nulla per i loro secoli di sofferenza.
    Con l’avanzare della rivoluzione industriale, i nuovi capitalisti occidentali cercavano materie prime piu’ economiche e mercati piu’ ampi. Le piantagioni coloniali, basate sul lavoro degli schiavi, monopolizzarono le forniture di materie prime. Il lavoro forzato a lungo termine e l’impoverimento del suolo hanno portato a una riduzione della produttivita’ e a un aumento dei costi, spingendo i capitalisti emergenti a cercare di distruggere l’economia delle piantagioni dipendente dalla schiavitu’.
    Contemporaneamente, gli africani non hanno mai smesso di resistere alla schiavitu’. Ispirate dalla guerra d’indipendenza statunitense e dalla rivoluzione francese, alla fine del XVIII secolo scoppiarono rivolte su larga scala, in particolare la rivoluzione di Haiti. Queste rivolte aumentarono i costi del mantenimento della schiavitu’.
    Nel 1807, il Parlamento britannico approvo’ la Legge sull’abolizione della tratta degli schiavi, seguita da leggi simili in altri Paesi europei. Tuttavia, il lucroso commercio continuo’ “clandestinamente”. Per evitare le multe, gli schiavisti a volte legavano i loro prigionieri agli scogli e li gettavano fuori bordo quando venivano inseguiti in mare. La tratta transatlantica degli schiavi termino’ effettivamente solo alla fine del XIX secolo.
    Ma le sofferenze dell’Africa non erano affatto finite.
    Dopo la Conferenza di Berlino del 1884-1885, le potenze occidentali intensificarono la loro corsa all’Africa, portando alla spartizione del continente. Questa sconsiderata divisione ha lasciato in Africa un’eredita’ di poverta’ e sottosviluppo che persiste ancora oggi.
    “In origine avevamo una nostra scrittura e un nostro modo di comunicare. La schiavitu’ ha portato alla perdita di molti giovani africani e ha distrutto il patrimonio di civilta’ e lo sviluppo sociale dell’Africa”, ha affermato Anokye Frimpong.
    Lo storico ha anche osservato che l’imposizione di confini artificiali durante la colonizzazione ha ulteriormente frammentato l’unita’ africana, una divisione che persiste in Paesi come il Ghana.
    “L’AFRICA DEVE UNIRSI” All’interno del Kwame Nkrumah Memorial Park di Accra, una citazione del leader panafricano recita “Non sono africano perche’ sono nato in Africa, ma perche’ l’Africa e’ nata in me”.
    Il Ghana dichiaro’ la propria indipendenza il 6 marzo 1957, diventando la prima nazione dell’Africa subsahariana a liberarsi dal dominio coloniale occidentale. In quel giorno storico, Nkrumah proclamo’ “La nostra indipendenza non ha senso se non e’ legata alla liberazione totale del continente africano”.
    Nkrumah, celebrato come il “Padre del Ghana”, era un fervente sostenitore del panafricanismo. Nel suo libro “L’Africa deve unirsi”, esorto’ l’unificazione di tutte le nazioni africane per raggiungere la vera indipendenza e la prosperita’.
    La visione panafricana ebbe un grande significato per i discendenti degli africani schiavizzati in tutta la diaspora. La prima Conferenza panafricana, tenutasi a Londra nel 1900, riuni’ delegati provenienti dagli Stati Uniti, dalle Indie occidentali e dall’Africa per discutere la situazione globale della popolazione nera e chiedere l’autogoverno delle colonie africane e caraibiche.
    Un anno dopo l’indipendenza del Ghana, nell’aprile del 1958, si tenne ad Accra la prima Conferenza degli Stati africani indipendenti, gettando le basi per quella che sarebbe diventata l’Organizzazione dell’unita’ africana (OAU).
    “La lotta per l’indipendenza del Ghana non ha riguardato solo la liberazione di un Paese, ma anche quella dell’intero continente dal dominio coloniale e il ripristino dell’unita’ africana”, ha dichiarato Anokye Frimpong. “Oggi le nazioni africane si sforzano di superare i retaggi storici e di costruire un futuro unito e prospero”.
    Fondata nel 1963, l’OAU ha incarnato l’ideale panafricanista, svolgendo un ruolo cruciale nella decolonizzazione dell’Africa e nella mediazione dei conflitti interstatali. L’organizzazione e’ stata sostituita dall’Unione africana (UA) nel 2002, segnando un nuovo capitolo nella ricerca dell’autosufficienza e dello sviluppo da parte dell’Africa.
    Il primo agosto 1998, i resti di due schiavi africani hanno attraversato la “Porta del non ritorno” nel castello di Cape Coast, in Ghana, per tornare in patria. Questo atto simbolico ha trasformato la “Porta del non ritorno” nella “Porta del ritorno”, inaugurando una nuova era di memoria, riconciliazione e solidarieta’.
    In occasione di una riunione congiunta tenutasi ad Accra nel novembre 2023, i delegati dell’UA e della CARICOM hanno concordato di istituire un fondo globale di risarcimento.
    Questa iniziativa chiede alle nazioni europee scuse formali e risarcimenti per le atrocita’ della schiavitu’.
    Intervenendo alla conferenza, il presidente del Ghana Akufo-Addo ha sottolineato che, sebbene nessuna somma di denaro possa riparare i danni causati dalla tratta transatlantica degli schiavi, la questione dei risarcimenti e’ un tema che il mondo deve affrontare e non puo’ piu’ ignorare.
    Mensah, l’uomo che lavora come guida in Ghana, ha affermato che andranno avanti ma non dovranno mai dimenticare la storia. E’ importante custodire la cultura e i valori e lasciare che siano loro a guidare il futuro, in modo che la tragedia della storia non si ripeta, ha dichiarato l’uomo.
    In effetti, i popoli africani non hanno mai dimenticato le atrocita’ del passato. Con il Sud globale che si fa sentire, le popolazioni africane che ne fanno parte stanno diventando piu’ fiduciose e autodeterminate nella lotta per la giustizia e i diritti che meritano. (XINHUA)

    Agenzia Xinhua

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