Iraq: oro nero testimonia un secolo di alti, bassi di lotta per indipendenza (2)

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    Bagdad, 02 ago – (Xinhua) – (XINHUA) – BAGDAD, 2 AGO – Hussein Ali Saeed, un cittadino di 81 anni, ha trascorso tutta la sua vita a Kirkuk, una citta’ dell’Iraq settentrionale famosa per le sue abbondanti riserve di petrolio.
    Per come la vede questo operaio petrolifero iracheno in pensione, la sua citta’ natale e’ punteggiata dalle fiamme che imperversano sopra i giacimenti petroliferi, con oleodotti argentati che si estendono da lontano e si allungano ancora piu’ in la’.
    “A causa del petrolio, tutto il mondo ha gli occhi puntati sull’Iraq”, ha sospirato Hussein. “Tutta la mia vita e’ stata strettamente legata al petrolio, cosi’ come il destino del mio Paese”.
    DALL’ORO NERO ALL’INCUBO NERO Dopo la Prima guerra mondiale, i britannici unirono le regioni di Bagdad, Bassora e Mosul, conquistate dallo sconfitto impero Ottomano, in una nuova nazione chiamata Iraq, che governarono su mandato.
    Nell’agosto 1921, il re Faisal I, insediato dai britannici, sali’ frettolosamente al trono a Bagdad. Senza un proprio inno nazionale, la cerimonia di incoronazione si svolse con l’inno nazionale britannico “God save the king”.
    Nel 1927, una squadra congiunta di britannici, olandesi e altre compagnie petrolifere occidentali inizio’ a esplorare il giacimento di Baba Gurgur a Kirkuk.
    “Quando i britannici arrivarono, Kirkuk era davvero una citta’ d’oro nero, come se un fiammifero potesse incendiare la polvere nell’aria”, ha affermato Hussein.
    L’avidita’ dei colonizzatori divenne evidente quando pagarono all’Iraq solo una royalty di quattro scellini d’oro per tonnellata di petrolio, pari al 12,5% del prezzo di una tonnellata di greggio dell’epoca.
    Per accaparrarsi il petrolio, gli occidentali costruirono un oleodotto da Kirkuk al Mediterraneo, il progetto di oleodotto piu’ lungo del mondo all’epoca, in grado di trasportare oltre 4 milioni di tonnellate di petrolio all’anno in Europa.
    Non hanno creato raffinerie petrolifere commerciali in Iraq, si sono rifiutati di sviluppare industrie locali basate sul petrolio e hanno rifiutato di condividere qualsiasi tecnologia. Di conseguenza, nonostante le sue vaste risorse petrolifere, l’Iraq dovette importare prodotti petroliferi.
    “L’Iraq era come un cammello che trasporta oro mangiando spine”, si e’ lamentato Hussein. “La ricchezza scorreva verso l’Occidente. Gli inglesi, i francesi, gli olandesi e gli statunitensi ne hanno preso una parte, ma gli iracheni non hanno avuto nulla”.
    Ancora insoddisfatte, le potenze occidentali iniziarono a stabilire nuove regole. Nel 1928, tre colossi petroliferi statunitense, britannico e olandese tennero una riunione segreta, formando un cartello con gli Accordi di Achnacarry per controllare il mercato petrolifero mondiale. Negli anni Trenta, altre quattro compagnie petrolifere occidentali si unirono, dando vita al cartello petrolifero delle Sette sorelle.
    Questi colossi monopolizzarono l’industria petrolifera, controllando produzione, trasporto, prezzi e vendite. Tra il 1913 e il 1947, le compagnie petrolifere occidentali guadagnarono oltre 3,7 miliardi di dollari dai Paesi produttori di petrolio del Medio Oriente, tra cui l’Iraq, pagando solo 510 milioni di dollari in royalties.
    “L’oro nero ha alimentato l’eta’ dell’oro dell’Occidente, ma e’ diventato l’incubo nero per l’Iraq”, ha dichiarato Hussein. “A volte penso che sarebbe stato meglio per noi se non ci fosse stato affatto il petrolio”.
    LOTTA PER L’INDIPENDENZA NAZIONALE La meta’ del XX secolo vide una forte ondata di lotte anticoloniali in Asia e in Africa, che portarono all’indipendenza di numerosi Paesi. Anche il regime fantoccio della dinastia Faisal, controllato dai britannici, comincio’ a vacillare.
    “All’epoca era un Paese quasi indigente. Tutti vivevano nella poverta’ e nella fame. In questo contesto scoppio’ la rivoluzione”, ha ricordato Hussein.
    Il 14 luglio 1958, a Bagdad, Abdul Karim Qasim fece un colpo di Stato e rovescio’ Faisal II, portando alla nascita della Repubblica dell’Iraq e alla fine del controllo britannico.
    “Riprendersi le ricchezze rubate” divenne il grido di battaglia della nuova repubblica, con l’eliminazione del colonialismo petrolifero come obiettivo primario. Nel 1959, l’Iraq istitui’ il ministero del Petrolio per gestire gli affari petroliferi nazionali.
    Nonostante questi sforzi, le Sette sorelle controllavano oltre l’80% delle riserve petrolifere mondiali, consentendo loro di manipolare i prezzi del petrolio.
    Per liberarsi, l’Iraq cerco’ alleanze con i Paesi del Terzo Mondo. Nel settembre 1960, i rappresentanti di Venezuela, Arabia Saudita, Kuwait e Iran si riunirono a Bagdad su invito dell’Iraq, dando vita all’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) per tutelare gli interessi dei Paesi membri e garantire prezzi stabili sul mercato del petrolio.
    Il primo giugno 1972, l’Iraq National Oil Company nazionalizzo’ l’Iraq Petroleum Company, controllata dall’Occidente, innescando un’ondata di nazionalizzazioni che si diffuse rapidamente in Kuwait, Venezuela, Arabia Saudita e altri Paesi.
    Nell’ottobre 1973, durante la guerra dello Yom Kippur, i produttori di petrolio del Medio Oriente annunciarono un embargo petrolifero contro le nazioni occidentali che sostenevano Israele. L’OPEC colse l’occasione per reclamare ulteriormente il potere di determinazione del prezzo del petrolio, aumentandolo da 5,12 dollari a 11,65 dollari al barile nel mese di dicembre.
    Per l’Occidente, questa crisi petrolifera pose fine all’epoca d’oro in cui il petrolio costava meno dell’acqua.
    Con l’incremento dei prezzi del petrolio, l’Iraq entro’ in un periodo di rapido sviluppo. Entro il 1979, il suo PIL pro capite era passato da 392 dollari all’inizio della nazionalizzazione del petrolio a 2.858 dollari.
    “Economia, societa’, scienza e cultura fiorirono.
    L’istruzione e l’assistenza sanitaria erano assicurate. I nostri salari aumentavano, i risparmi crescevano e molte famiglie compravano automobili e addirittura viaggiavano o studiavano all’estero”.
    LA STORIA SI RIPETE Il 20 marzo 2003, mentre le sirene dei raid aerei suonavano su Bagdad, l’oscurita’ inghiotti’ ancora una volta il Paese.
    “Non abbiamo alcuna ambizione in Iraq, se non quella di rimuovere una minaccia e di restituire il controllo del Paese al suo stesso popolo”, proclamo’ l’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush. Alla notizia dell’invasione statunitense, Hussein e i suoi colleghi bruciarono tutti i materiali legati alla produzione di petrolio.
    “Se non li avessimo distrutti, gli statunitensi sarebbero sicuramente venuti a cercare guai”, ha affermato l’uomo.
    L’istinto di Hussein derivava dalle sofferenze passate del Paese. L’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan ha ammesso nel suo libro di memorie: “Mi rattrista il fatto che sia politicamente sconveniente riconoscere cio’ che tutti sanno: la guerra in Iraq e’ in gran parte legata al petrolio”. “La storia sembra ripetersi, con l’invasione statunitense che ci riporta indietro di cento anni”, ha affermato Hussein con amarezza.
    Negli anni Settanta, con il declino dell’egemonia economica statunitense e il crollo del sistema di Bretton Woods, il dollaro fu sganciato dall’oro. Per mantenere l’egemonia del dollaro, gli Stati Uniti lo legarono al petrolio, dando vita al sistema dei petrodollari.
    Nel 2000, l’Iraq passo’ dal dollaro all’euro per il commercio del petrolio, rappresentando una minaccia per il sistema dei petrodollari. Dopo l’invasione del 2003 e la caduta del governo di Saddam Hussein, gli Stati Uniti hanno imposto alle esportazioni di petrolio iracheno di tornare alle transazioni in dollari. L’invasione statunitense ha devastato l’Iraq. “Gli standard di vita di base crollarono, le pensioni erano basse, gli anziani persero l’accesso all’assistenza sanitaria e a volte anche le forniture di cibo erano incerte”, ha affermato Hussein.
    Nel 2011, l’esercito USA si ritiro’, lasciando dietro di se’ un Iraq economicamente stagnante e politicamente fratturato, afflitto dal terrorismo. Si stima che la guerra e le violenze che ne sono derivate abbiano ucciso piu’ di 200.000 civili e lasciato oltre 9 milioni di sfollati.
    “Il petrolio dovrebbe essere una fonte di felicita’ per gli iracheni. Eppure, per oltre un secolo, e’ diventato una maledizione per il Paese”, ha affermato Hussein.
    COLLABORARE CON IL SUD GLOBALE Il petrolio rimane oggi l’ancora di salvezza economica dell’Iraq. La Banca mondiale ha dichiarato nel 2022 che le entrate petrolifere hanno rappresentato piu’ del 99% delle esportazioni irachene, l’85% del bilancio del governo e il 42% del suo PIL nell’ultimo decennio. Per raggiungere una prosperita’ e un’indipendenza reali, e’ fondamentale che l’Iraq diversifichi la propria economia.
    Nel 2023, l’Iraq ha inaugurato un progetto di Development Road da 17 miliardi di dollari per collegare un importante porto di materie prime sulla costa meridionale con la ferrovia e le strade fino al confine con la Turchia, in un’azione finalizzata a trasformare l’economia del Paese dopo decenni di guerre e crisi. Questo progetto non solo indica la volonta’ dell’Iraq di ridurre la sua dipendenza dal petrolio, ma dimostra anche il suo desiderio di rafforzare la cooperazione con il Sud globale. Nel settembre 2023, e’ stato avviato un progetto ferroviario che collega la citta’ irachena di Bassora con la citta’ di confine iraniana di Shalamcheh. Nell’aprile di quest’anno, l’Iraq ha firmato un Memorandum d’intesa quadripartito per il progetto Development Road con la Turchia, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti. “Kirkuk ora ha nuove strade, trasporti migliori…”, ha affermato Hussein. “Questo e’ l’inizio della nostra ricostruzione e il nostro futuro e’ promettente”.

    Agenzia Xinhua

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