Guerra del fisco agli italiani che lavorano all’estero

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Guerra del fisco agli italiani che lavorano all’estero, che rischiano di dover subire una doppia tassazione –

Come sempre, con una fenomenologia divenuta, purtroppo, fin troppo ripetitiva e di routine, il Fisco italiano, quando non sa dove rimpannucciarsi, si rivolge con decisione ed in maniera particolarmente predatoria agli italiani all’estero.

Leggete cosa si sono inventati ora. Sono già migliaia le lettere inviate in questi giorni dall’Agenzia delle Entrate ai cittadini italiani, sia a quelli all’estero sia in Italia. Cioè a tutti coloro che hanno lavorato all’estero, ma risultano ancora fiscalmente residenti in Italia.

Le motivazioni?

Perché non si sono iscritti all’Aire-Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero e anche per il fatto di aver omesso di dichiarare, in tutto o in parte, i redditi conseguiti all’estero. Adempimento quest’ultimo ovviamente previsto dalla legge in Italia, senza però darne al riguardo la benché minima, tempestiva informazione preventiva, considerate irrisorie nella numerazione di missive inviate ai contribuenti residenti fuori dall’Italia.

Forse con l’intento di poter lucrare una aggiuntiva sanzione posta a carico dei contribuenti, senza però ricordare loro per tempo l’onere da assolvere?

Nessun dubbio, per noi, al riguardo.

I contribuenti, quelli che hanno ricevuto o riceveranno l’avviso di accertamento, potranno così regolarizzare la propria posizione fiscale, presentando una dichiarazione dei redditi integrativa e versando le maggiori imposte dovute, unitamente agli interessi nonché, guarda caso, alle sanzioni, sia pur in misura ridotta, secondo le modalità previste dalla legge all’ art. 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.

“Ma come fa l’Agenzia delle Entrate” – sottolinea molto opportunamente il solo on. Porta del PD in un suo comunicato, nel silenzio assordante della restante politica – “a sapere che un contribuente italiano ha lavorato e conseguito un reddito all’estero?”. Per chiarirsi l’interrogativo bisogna risalire all’art. 8, paragrafo 1, della Direttiva del Consiglio 2011/16/UE del 15 febbraio 2011. Quella relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale che dispone che gli Stati membri devono trasmettere, per i periodi d’imposta dal 1° gennaio 2014, le informazioni riguardanti i residenti negli altri Stati membri, in relazione, tra l’altro, anche ai redditi di lavoro dipendente e quelli di pensione dagli stessi percepiti.

Ve la immaginate la fedeltà e la veridicità delle informazioni inviate dagli altri Stati membri, senza alcuna seria possibilità di un effettivo controllo su di esse?

Concludiamo segnalando che i redditi del cittadino residente fiscalmente in Italia sono soggetti a tassazione diretta dal fisco italiano. Ciò indipendentemente dal luogo dove tali redditi sono stati prodotti, anche se su tali redditi sono già state pagate le imposte nel Paese estero di produzione del reddito. Tuttavia, proprio per evitare o quanto meno minimizzare gli effetti di una doppia tassazione, la vigente normativa tributaria italiana favorisce il contribuente oggetto di tale ingiustizia attribuendogli la possibilità di un espresso credito di imposta di cui poter usufruire.

Ma che fa al riguardo la politica per razionalizzare questa ingarbugliata situazione e dare un minimo segnale di disponibilità e di ausilio alla nostra Comunità all’estero? Nulla, perdendosi come al solito una occasione.

Pier Francesco Corso

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