Le pillole di Polly: recensione di “Tutta la vita che resta” di Roberta Recchia

Marisa e Stelvio Ansaldo conducevano un’esistenza tranquilla ed abitudinaria. La loro routine, tuttavia, non era scandita dalla monotonia, ma dall’amore, quello vero.
Sì, perché Stelvio si era innamorato follemente di Marisa fin da quando, molti anni prima, era stato assunto nel negozio di alimentari del padre di lei.
Dal canto suo, Marisa all’inizio non aveva notato quel ragazzo di origini umili, e non perché fosse povero; la ragazza non era tipo da dare peso a queste cose. Piuttosto, il problema era che era ancora provata per un primo amore finito male.
Con il tempo, tuttavia, Marisa aveva finito per capire che uomo meraviglioso avesse di fronte e aveva cominciato ad amarlo come non pensava fosse possibile fare.

Da allora, la loro vita insieme era stata perfetta; entrambi, infatti, avevano saputo dare il giusto valore alle piccole cose e non avevano mai smesso di nutrire il loro rapporto con attenzioni reciproche. Erano arrivati al punto da crearsi un linguaggio tutto loro, grazie al quale si capivano anche senza parole.

La loro serenità, poi, era diventata ancora più completa grazie alla nascita dei due figli.

Il primogenito, Ettore, fin dalla più tenera età aveva dimostrato un talento stupefacente per il pianoforte; poi, era arrivata Betta che, bellissima, simpatica ed intraprendente com’era, era la cocca di mamma e papà.
Poi, però, era accaduto qualcosa.

Sarà che avevano ragione gli antichi greci, quando parlavano di invidia degli dei; sta di fatto che, un brutto giorno, per Marisa e Stelvio era arrivato il momento di pagare il conto della felicità che era stata loro concessa. E quel conto era consistito nella tragedia più orribile che possa esistere al mondo.

Dopo quell’evento terribile, lo strazio della coppia non aveva conosciuto limiti. La luce che illumina il mondo, per gli Ansaldo, sembrava essersi spenta per sempre; il loro dolore era talmente forte che non riuscivano nemmeno più a comunicare tra loro.
Eppure, perfino quando la speranza sembra essersi esaurita definitivamente può esserci almeno una scintilla di luce, se si trova uno scopo per continuare a vivere.

E quello scopo, per gli Ansaldo, forse può essere rappresentato dalla nipote Miriam, sconvolta dalla tragedia per un motivo che nessuno conosce oltre a lei e a Leo, un giovane di borgata dal cuore d’oro.

“Tutta la vita che resta” è la sorprendente, eccezionale opera prima di Roberta Recchia, insegnante di inglese arrivata al suo felice esordio come scrittrice all’età di cinquantadue anni.

La trama è intensa e commovente e il merito è dell’autrice, che ha saputo rappresentare la tragedia degli Ansaldo in modo cosi vivido da farla sembrare realmente accaduta.

Scorrendo le pagine del romanzo, infatti, il lettore si cala totalmente nella storia ed entra prepotentemente nella vita dei personaggi, al punto da avere l’impressione di conoscerli. Per questo, si strugge per loro e non vede l’ora di sapere quale sarà la loro sorte.
Marisa, Stelvio e Miriam, pieni di qualità ma anche di difetti come sono, sono personaggi pienamente riusciti perché rispecchiano le emozioni e le caratteristiche di tutti gli esseri umani.

E tuttavia sono le figure di Leo, costretto a spacciare per un fine nobile, e Corallina, la sorella trans con un cuore grande quanto il corpo da uomo che le è ingiustamente toccato in sorte, che catturano il cuore del lettore ed entrano in modo indelebile nella sua memoria. I due fratelli si fanno amare così tanto perché pur essendo pieni di problemi sono gli unici che riescono a non farsi travolgere dalle avversità, grazie alla loro profonda umanità e alla capacità di non arrendersi.

È per questi motivi, e anche per tanti altri, che “Tutta la vita che resta” è un romanzo assolutamente da non perdere purché non ci si dimentichi di dotarsi di una bella scorta di fazzoletti.

Federica Focà