Il decentramento di Roma Capitale verso la creazione dei “Comuni Urbani”, una questione importante, ma non troppo.

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roberto gualtieri
Seguo, come giornalista, la politica locale almeno dal 2012 e c’è un elemento che non cambia mai: la tendenza dei vari esponenti politici a dar fiato alla bocca, gonfiando polemiche contro chi li ha preceduti o chi li ha seguiti in ruoli di responsabilità.
Questa natura malmostosa della classe politica locale che, inizialmente, anche io consideravo una manifestazione della tendenza tutta italiana a dividersi in fazioni, mi appare oggi, a distanza di dieci anni, come una scelta voluta, una tattica, se preferite.
Se guardiamo alla realtà romana, se lo facciamo voltandoci verso il recente passato, è certo un dato: la città è enormemente peggiorata e con essa – come giustamente mi ha ricordato qualcuno di recente – sono peggiorati i romani. E Roma è peggiorata con tutte le giunte che si sono susseguite in questi dieci anni, peggiorata ad un punto tale che servizi essenziali, di base (come la raccolta dei rifiuti ed il trasporto locale) sono ormai giunti ad uno stato di crisi permanente.
Perché dico “tattica”? Perché la mia impressione è che la politica locale non abbia né gli strumenti culturali, né la forza morale per occuparsi di gestione non dico dei “grandi eventi”, ma della minima amministrazione. In particolare, non ha la forza di incidere su situazioni di “rendita di posizione” che hanno molto peso elettorale e molta “capacità di interdizione” rispetto alla cittadinanza (esemplari sono la scelta del famoso concordato preventivo per Atac o le vicende legate ad Acea ed alla figura di Luca Lanzalone).
In effetti, il territorio di Roma è enorme, assai eterogeneo (comprende infatti realtà semi rurali e zone ad altissima densità abitativa), ripartito fra enti di prossimità, i municipi, in modo strampalato (2013, giunta Alemanno) senza che questi enti abbiano la minima possibilità, finanziaria e strumentale, di incidere sulla realtà locale di competenza.
Giacciono in Parlamento varie iniziative legislative sui maggiori poteri da dare al comune di Roma secondo l’idea di fare della Capitale una sorta di ente assimilabile, per alcuni aspetti, ad una Regione conferendo ai municipi funzioni e risorse più simili a quelle di un comune. Alcune di queste proposte prevederebbero un percorso, intrinsecamente lungo e complesso, di revisione costituzionale.
Nel frattempo, la giunta in carica ha attivato una struttura di consultazione e con i presidenti dei municipi con l’obiettivo di definire, entro il 2022, una programmazione del decentramento dal Comune agli enti di prossimità, utilizzando le norme già presenti nello Statuto di Roma Capitale.
La giunta Gualtieri ha un assessorato, retto da Andrea Catarci, dedicato al tema del decentramento, anche se l’obiettivo viene definito come da realizzarsi entro la fine della consiliatura. Il problema è sempre quello delle risorse, probabilmente nella speranza di “accompagnare” il processo legislativo che ristagna in Parlamento (e con la paura di non riuscire a coordinare con esso le eventuali scelte a livello locale).
I compiti dei municipi capitolini sono infatti abbastanza limitati: i servizi demografici, i servizi sociali e assistenziali, i servizi scolastici ed educativi, i servizi culturali, sportivi e ricreativi in ambito locale; i servizi di manutenzione urbana, di gestione del patrimonio capitolino e di disciplina dell’edilizia privata di interesse locale, la manutenzione delle aree verdi di interesse locale (la cui definizione è stata recentemente rivista al rialzo, in termini di superficie), iniziative nei settori artigiano e commercio, funzioni di polizia urbana secondo modalità stabilite dal Corpo di Polizia Locale. Inoltre, sono enti a finanza interamente derivata: eseguono i propri compiti in base alle assegnazioni del Comune.
Al Comune spettano invece tutte le altre competenze pesanti (mobilità, l’urbanistica, le politiche abitative, la manutenzione delle strade a lunga percorrenza, le aree archeologiche e i parchi, servizi sociali ed il ruolo di committenza per l’erogazione di servizi essenziali, come nettezza urbana e TPL, con le “municipalizzate” AMA, ATAC ed ACEA).
Da decenni si auspica, per le dimensioni e la complessità del territorio capitolino, una radicale trasformazione dei municipi in “comuni urbani” ed un ruolo diverso per il Comune. E tuttavia i “nodi” più visibili alla cittadinanza sono proprio quelli che provengono dai servizi affidati alle “municipalizzate”.
In altre parole, il vero convitato di pietra a Roma sono le società “municipalizzate” e, se è vero che i servizi di prossimità sono importanti, è evidente che viabilità, trasporto locale e ciclo dei rifiuti restano le criticità principali e tali rimarrebbero, molto probabilmente, anche se venisse completato il percorso di decentramento e la creazione dei comuni urbani.

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